Non dimenticherò mai quella telefonata, quelle parole pronunciate dalla sua voce tremante : “Non è andata come ci aspettavamo”. Silenzio. Il mondo va in frantumi in un attimo.
Ero lì, basito, nel vuoto della sala riunioni in cui mi ero rifugiato certo di buone notizie. Doveva solo ritirare gli esiti di un agoaspirato che avrebbe dovuto confermare la natura benigna di un vecchio fibroadenoma. Come i medici, non avevamo dato peso ad un esame che avrebbe dovuto avere un esito scontato. Per questo non ero con lei. “Ci vediamo a casa”. Esco subito.
Non ho ricordo del ritorno a casa, non so neanche a cosa stavo pensando. Soprattutto non sapevo a cosa stavo andando incontro. Il Cancro.
Finalmente sotto casa. Ci incontriamo, mentre lei scende dalla macchina di un padre visibilmente provato. Uno sguardo e ci capiamo: adesso tocca a me.
In casa, ci abbracciamo stretti. Sento la sua disperazione, come la mia. La sua paura, come la mia.
Seguono giorni di attesa: la visita, il “GIC”, in cui i tentennamenti dei medici (nonostante la ricerca, non sappiamo “tutto”) ci portano a chiedere un secondo consulto. Alla fine, il piano è definito : PAC, chemio, intervento e radio.
Non vedevo l’ora di uscire da quell’incubo in cui eravamo appena entrati.
È stato importante (per me) vedere di persona l’ambiente in cui avrebbe fatto le Chemio e, soprattutto, conoscere le sue “Compagne di viaggio”, Donne che, come lei, combattevano contro lo stesso nemico. Constatare con i miei occhi che c’è speranza, che uscire da quel tunnel maledetto è possibile. Con loro è nata un’Amicizia che perdura nel tempo, un toccasana per tutte le sue (e le mie) paure.
Il tempo ha portato i cambiamenti tipici della chemio : i capelli si diradavano sempre più, il dolore le cambiava i tratti somatici, l’intervento - una “semplice” quadrectomia - ha cambiato la forma del seno… Ma in tutto questo, per quanto fosse “diversa”, non ho mai smesso di riconoscere la meravigliosa Donna che amo, attraverso la luce che - nonostante tutto - brillava nei suoi occhi.
Non ho la pretesa di pensare di essere stato artefice della sua guarigione, questo lo lascio appannaggio dei medici e di Dio (sono convinto che ognuno di loro abbia fatto la sua parte).
Spero di averla accompagnata degnamente in questo cammino, sorreggendola nei momenti difficili e nutrendola con tutto l’Amore di cui sono capace