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Roche – A fianco del coraggio
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Come nel sonno, di notte, d’estate: un insetto all’orecchio. Mi risveglio sul divano scacciando l’aria vicino la testa. Mi guardo intorno. È giorno, è inverno. Ho sognato, non una zanzara, ma un pensiero sonoro, una memoria ronzante impiantata nel mio timpano tanto in profondità da arrivare al cervello e trasformarsi in ricordo. Sento spesso quel rumore immaginario, non importa che io sia sveglio o dorma. Tutto è iniziato nove anni fa, quando, con un rasoio elettrico, ho tagliato tutti i capelli di Caterina, mia moglie. Lei era piegata in avanti, la testa nella vasca da bagno; è troppo ordinata, non vuole sporcare. Era in ginocchio, come un bandito legato al ceppo che attende la scure del boia pronta a calare sul collo. Non potevamo attendere oltre. Dopo il primo ciclo iniziavano a comparire vuoti bianchi nella sua criniera. “Signora, lei perderà i suoi bei capelli”. Ci avevano avvisato, ma quando accade non sei mai pronto. E mia moglie voleva che fossi io il boia, solo mia doveva essere la mano che avrebbe eseguito la sentenza. Il ronzio è acuto, persistente, tremante nella mia mano; sono io l’insetto che volerà immaginario nei miei sogni. Il ronzare si ovatta quando affonda nei capelli, li miete come grano d’estate, senza rimorso. Lei se li vede scendere come fossero carezze sulle guance; lunghe, ondulate e castani carezze che planano nel bianco della vasca. Cadono senza rumore. Solo quel ronzio si espande e rimbalza tra le quattro mura di piastrelle celesti. Ho finito; l’esecuzione non ha ricevuto grazia. Caterina si rialza piano; drizza la schiena sin quasi a mettersi sull’attenti. Sembra un militare di trent’anni che ha lasciato a casa un figlio di due. Il soldato, immobile, rimesta nelle viscere, cerca il coraggio necessario per affrontare la sua guerra. La prima battaglia? Guardarsi allo specchio. Fa un passo di lato, io dietro di lei, mi sembra di cercare riparo dietro al suo coraggio. Si osserva un lungo istante, poi incrocia il mio sguardo di riflesso con le labbra serrate e gli occhi come una fessura. Le bacio un orecchio: «Andrà tutto bene.»
Nove anni. È giorno, è inverno. Caterina si affaccia dalla cucina e mi guarda perplessa «Ti sei già svegliato?»
«Sì, ho sentito qualcosa volare.»
«Volare? Caccialo viaaa!» Urla e si nasconde in cucina.
Rido. Ancora oggi non capisco come possa aver paura degli insetti una donna che ha vinto da sola la guerra.