Avevo un appuntamento di lavoro quel giorno. Uscii relativamente presto da casa. Mi pare che in quel periodo lei fosse in ferie dal lavoro. Quando ritornai mi sembrò strano non trovarla. Rientrò, e il suo viso era rigato da copiose lacrime. Quella mattina qualcosa dentro di lei aveva cominciato a funzionar male e le copiose tracce di sangue davanti ai suoi occhi erano ancora vivide nella sua mente. Ci sedemmo, parlammo, mi raccontò. Il medico le aveva subito prescritto quell'odioso esame e i giorni seguenti passarono con un' unica speranza in testa, che fosse solo un problema temporaneo e non grave. Il giorno dell'appuntamento in ospedale, per quel controllo, si presentò quasi senza soluzione di continuità da quell'attimo mattutino tinto di rosso. La diagnosi fu quella che temevamo. Bisognava operare, urgentemente, bisognava tagliare ed asportare, e dopo sarebbe stato necessario un lungo periodo di cura. Fu un susseguirsi di immagini, di flashback, di momenti che mi vedevano con lei, davanti a un bar mangiando un gelato, giocando a tennis, a correre in palestra, su una spiaggia deserta a godere di un caldo sole ottobrino, sul ponte di una nave, sopra un aereo mentre faceva nervosamente finta di leggere un giornale al rovescio, davanti all'altare, tra gli artisti di Montmartre, ascoltando le note della Turandot dal palco di un bel teatro. Ricordi che pian piano furono soppiantati da altre immagini, ospedali, sale operatorie, cliniche, terapie debilitanti, consulti, analisi, controlli a cadenza regolare, attese piene di speranza, un nastro che si riavvolgeva e poi ricominciava a scorrere. Tanti anni di vita in cui abbiamo condiviso molteplici momenti di gioie e paure, riflessioni e spensieratezze, di colpe e virtù. Ricordi talmente nitidi che difficilmente dimenticherò, un puzzle d'emozioni in cui l'ultima tessera rivelerà la meta del viaggio che da quel giorno ho voluto condividere insieme a lei, mia moglie. Adesso è tempo di vivere il presente e di raggiungere quella meta. Di farlo con il sorriso sulle labbra perché non si è mai da soli a combattere l'impari battaglia. Ospedali, cliniche, studi medici non sono luoghi in cui avere paura. Sono solo palcoscenici dove io e mia moglie impariamo a recitare delle parti secondarie, lasciando il ruolo da protagonisti ai medici e alla ricerca. Noi due, lo so, diventeremo vecchi anche grazie a loro.