Tra noi ci riconosciamo subito, senza bisogno di parlare. Abbiamo tutti la luce opaca nello sguardo di chi ha pianto in silenzio per non dare fastidio, di chi si è nascosto per farlo per non togliere speranza a chi non doveva perderla.
Lì, sotto quel palco, alla “Race” di Roma, eravamo tutti uguali, stesse facce e stessa maglia bianca. Loro, con la loro t-shirt rosa sul palco, erano bellissime e luminose. La pioggia, che cadeva fitta, bagnava solo noi. Solo i nostri piedi affondavano nel fango del Circo Massimo. Loro sembravano volare.
Erano loro le protagoniste di quel giorno, giustamente. Cantavano, marciavano, correvano. Chi ce l’aveva fatta e chi ce la stava facendo, chi ci stava provando e chi forse non ce l’avrebbe fatta. Tutte unite, in un unico sentimento che le faceva sentire finalmente meno sole.
Sì, perché anche se ci siamo noi al loro fianco, non ne saremo mai davvero all’altezza. Possiamo provarci, fare del nostro meglio, ma non ci riusciremo mai del tutto. Ci consideriamo corpi estranei per i loro corpi già aggrediti da un nemico esterno. Gli anticorpi al loro male sono loro stesse, non noi. Ciò che le può far star meglio è solo la loro forza, il nostro è solo un doveroso atto di presenza.
Ci vergogniamo di soffrire, le vediamo star male e crediamo di non averne lo stesso diritto, ma coviamo silenziosamente un altro tipo di pena che viene fuori in giorni come questo, quando nello sguardo di uno sconosciuto vedi la tua faccia e leggi in silenzio nei suoi i tuoi stessi pensieri. Ma noi non siamo bravi come loro. Le donne si incontrano e sono subito amiche e sorelle. Sanno aiutarsi e sostenersi. Noi no.
Forse perché la paura per un uomo di perdere la donna che ama è un pensiero troppo devastante per poter essere condiviso. E’ uguale per tutti, ma è insormontabile per chiunque di noi. Saremo persi, e non riusciamo ad accettare la nostra debolezza quando dovesse mancare la loro forza. Noi quella forza non ce l’avremo mai, e ora che siamo costretti ad ammetterlo ce ne vergogniamo.
Quel giorno, sulle nostre facce, c’erano vergogna e stanchezza. Ma sui loro volti, nonostante tutto, su quel palco c’erano invece gioia e speranza autentiche. Loro ce la stavano facendo, o almeno ci stavano provando. Noi potevamo solo assistere in disparte alla loro rinascita coraggiosa, Sperando che, passata la lunga notte, sarebbe venuto anche per noi il tempo del risveglio.